La ricchezza aziendale non nasce da sé, ma è il frutto ultimo dell’intuizione dell’imprenditore che si combina con la sua capacità di organizzare e con una serie di cause esogene, che, con il tempo, possono diventare endogene. L’impresa è la realizzazione del pensiero dell’imprenditore, ed è da questi definito nell’ambiente mediante l’azione. L’azione è ciò che genera la ricchezza.
La determinazione dell’illuminismo, per cui esiste solo quello che è dimostrabile si adatta all’impresa in quanto “operare nell’ambiente”, ossia in quanto realizzazione in atto di un pensiero, che , in potenza, rappresenta qualche cosa di ontologicamente diverso. L’azienda è una manifestazione del pensiero dell’imprenditore, è l’espressione del suo agire, ma non è l’agire stesso. I semi della #mediocrazia, sono seminati proprio nell’illuminismo. L’illuminismo rinuncia allo studio di ciò che è metafisico, di ciò che, apparentemente, non è spiegabile con la ragione: allo studio dello spirito, in favore dello studio degli algoritmi e dei risultati. Viceversa, utilizzando una terminologia di tipo Hegeliano potremmo dire che l’impresa è lo spirito, l’azienda è lo spirito che si nega, ossia quel momento dialettico in cui l’idea dell’imprenditore si nega, in quanto tale, per poter prendere coscienza della sua esistenza e potersi esprimere con compiutezza. L’impresa, in definitiva, si compie esprimendosi proprio attraverso l’azienda, che, come detto, ne è l’ordine economico, ma ad essa non si limita: nell’impresa vi è l’espressione spirituale dell’imprenditore.
Vi è la realizzazione dei suoi valori e della sua volontà di realizzare i propri bisogni organizzando cespiti, persone e competenze al perseguimento del proprio fine. L’impresa si esprime nello stesso modo dell’arte, nel senso inteso da Schelling: è espressione dell’assoluto. L’impresa, nel suo manifestarsi attraverso l’attività economica, assume una propria esistenza e trascende la volontà dello stesso imprenditore, assumendone una propria e diversa. L’impresa è una manifestazione della volontà dell’imprenditore, è una singolarità dell’assoluto. L’essere è l’argomento della causa, ma solo come espressione di una possibilità. Onida indica il fine dell’impresa come l’impresa stessa e non è molto distante da Schelling che indica l’arte come modello della scienza e la pone là, dove quest’ultima deve ancora arrivare. Nell’impresa c’è l’espressione di un a priori in cui l’imprenditore si esprime con volontà, ma essa prevarica la sua stessa consapevolezza. Alain Deneault nei sui studi sulla mediocrazia, evidenzia come sia proprio la rinuncia all’indagine sullo spirito, el aconcentrazione su risultati di tipo economico ad avere condannato il sistema a rinunicare all’eccellenza.
In tema di organizzazione economica del lavoro, Williainson in The Econornic Institution of Capitalism, ha sviluppato un approccio che presenta parecchie analogie e che assume come unità fondamentale di analisi la specifica transazione (simile quindi alla nozione di contratto). Secondo Coase, l’istituzione può pertanto essere vista come un organismo che esiste in quanto “scambia” mediante contratti ed il suo funzionamento è giustificato perché consente, per l’appunto, di ridurre i costi d’uso del contratto. Nella letteratura aziendale italiana si trova qualche analogia con la definizione di “impresa”, intesa prevalentemente come centro di rapporti, in una concezione che riflette l’ideale di salvaguardia dei diritti dei soggetti, interni ed esterni all’azienda” elaborata da E. Ardemani, in L’evoluzione del concetto di impresa e dei sistemi contabili in Italia. Secondo Cattaneo, L’accettazione di della teoria contrattualistica implica considerazioni discutibili, “la principale riguarda il superamento del concetto secondo il quale il soddisfacimento delle attesa dei protagonisti diversi dal capitale e, segnatamente, dei lavoratori, sia da assumere esclusivamente come una questione di assolvimento di un obbligo di prezzo. Al contrario, per l’efficienza stessa dell’impresa, il rapporto tra capitale e lavoro deve essere regolato in modo in cui il benessere da conseguire sia riconosciuto come tale dall’istituzione, dal capitale e dal lavoro. Questa concezione si estende poi ai rapporti con i clienti e i fornitori.
Esistono due modi per investire in formazione, formarsi per restare nel fusso, come insegnano più o meno tutti gli attuali formatori, o trovare il coraggio di uscire oppure sentirne il disagio e diventare dei Leader. Restando nel flusso, l’imprenditore, genera ricchezza, ma rinuncia a guidare il mercato, imitando i propri clienti e il proprio passato, e così il mercato, inesorabilmente lentamente lo spingerà ai margini.
In fondo si tratta di rinunciare sia ad un concezione sistemica dell’impresa, sia ad una concezione contrattualistica, in favore di un approccio fondato sull’importanza degli uomini, dei loro valori e dei loro principi, anche spirituali. Essere veri innovatori, significa ricercare la tradizione valoriale delle nostre famiglie e della nostra civiltà. Fondare la propria etica evangelicamente sullo spirito e sui valori, e quindi sulla leadership e sull’eccellenza, anzichè su uno sperato profitto e sulle logiche di un potere effimero perchè fondato sulle logiche della mediocrazia.
Vedi anche “Il potere della mediocrazia”